Ogni anno, il 25 novembre, ci fermiamo per un istante, quasi come un riflesso condizionato, a ricordare le donne che non ci sono più. Quelle che sono state spezzate, ridotte in frantumi da mani che non avrebbero mai dovuto toccarle. Ma cosa significa davvero fermarsi per una giornata? Una riflessione momentanea, un minuto di silenzio, una candela accesa. Non basta. Non basta nemmeno per renderci conto che, ogni giorno, in ogni angolo del mondo, la violenza contro le donne non è solo una tragica realtà, ma una norma silenziosa che ci attraversa, che ci consuma, che ci scava dentro.
Perché la violenza sulle donne non è solo un atto fisico. Non è solo un colpo che lascia lividi sulla pelle, ma è un colpo che risuona nel profondo, dentro le ossa dell’anima, nei recessi dove nessuno può vedere. È un assalto invisibile che si annida nei sorrisi forzati, nei “va tutto bene” che non corrispondono alla verità. È un annientamento psicologico, una forma di tortura silenziosa che non si lascia mai dimenticare.
Oggi parliamo di violenza, ma parliamo anche di quello che si nasconde dietro il volto della violenza: il controllo, l’umiliazione, la manipolazione. La violenza non è solo il pugno che spezza il corpo, è l’umiliazione che spezza lo spirito. È la parola che taglia più della lama, l’insulto che segna più di un segno sulla pelle. È la continua e incessante negazione della dignità, che si ripete giorno dopo giorno fino a ridurre la donna a una macchia, a un’ombra di se stessa.
Pensiamo per un attimo alla solitudine che accompagna questa violenza. Perché spesso non si tratta di una botta, di un’esplosione improvvisa. La violenza è spesso lenta, pervasiva, subdola. È come un veleno che si insinua nell’anima, un lento scivolare in un abisso di paura, incertezza e vergogna. È l’isolamento che si fa strada in ogni angolo, il muro invisibile che impedisce di chiedere aiuto, di sperare in un futuro diverso. La violenza è un silenzio che parla troppo, una complicità che non osiamo riconoscere.
Non possiamo più accettare il fatto che la violenza sulle donne sia vista come qualcosa di inevitabile, come una realtà con cui dobbiamo convivere. Non possiamo continuare a guardare dall’altra parte mentre altre vite vengono distrutte, altre menti, altri cuori vengono schiacciati sotto il peso di una cultura che ancora oggi tende a giustificare, minimizzare, nascondere. Ogni volta che permettiamo a una donna di sentirsi invisibile, ogni volta che ignoriamo un grido di aiuto, ogni volta che scegliamo il silenzio invece della verità, stiamo alimentando la violenza.
Questa giornata mondiale non può essere solo un promemoria. Non può ridursi a un post sui social, a una manifestazione senza seguito. Deve essere il momento in cui tutti ci fermiamo a riflettere, a fare i conti con noi stessi, con quello che accade dietro le porte chiuse, nelle stanze silenziose delle case. Dobbiamo riconoscere la violenza che si nasconde nei piccoli gesti, nelle parole che non dovrebbero essere mai dette, nelle libertà che vengono negate.
Ognuno di noi ha una responsabilità. Noi, come individui, come cittadini, come membri di una società. Non possiamo più voltare lo sguardo. Non possiamo più lasciare che il dolore e la sofferenza diventino parte di una normalità che non vogliamo vedere. È ora di agire, è ora di fare davvero la differenza.
Oggi, più che mai, dobbiamo chiedere: come possiamo impedire che questo accada ancora? Come possiamo spezzare il ciclo di violenza che, nonostante i decenni di lotte, continua a colpire migliaia di donne ogni giorno? La risposta non è semplice, non è immediata. Ma inizia con il riconoscere la violenza, con il non fare finta che non esista. Inizia con il fare rumore, con il non restare in silenzio.
Se davvero vogliamo un cambiamento, dobbiamo smettere di aspettare che qualcun altro lo faccia. La violenza contro le donne non è un problema che riguarda solo le donne. È un problema che riguarda tutti noi. È una ferita che infligge alla nostra umanità. E finché non ce ne faremo carico, finché non riconosceremo in ogni donna il nostro riflesso, ogni 25 novembre non sarà che una commemorazione inutile, un’eco che svanisce nel nulla.
Oggi, e ogni giorno, dobbiamo rompere il silenzio.