E’ l’alba, tempo di un nuovo cammino!

Un’antica poesia-preghiera ascoltata lungo il Cammino di Santiago recita, grosso modo, così:

“In marcia dagli albori del mattino,
avanti il passo come dei pionieri,
scruta la strada dritta, pellegrino
di sentimenti incerti e di pensieri”


Quando molto tempo fa decisi di intraprendere il percorso di psicoterapia, impaurito e tentennante, avevo un solo pensiero: lasciare alle spalle quel deludente me troppo arrabbiato e incapace di rialzarsi dalle tante cadute occorse. Più mi guardavo allo specchio, più vedevo una zavorra, un estraneo, un’ombra cupa e pesante che mi seguiva ovunque andassi. I miei sentimenti, proprio come quelli del pellegrino ad inizio del suo viaggio, erano incerti mentre rabbia e inquietudine erano il solo pane capace di riempire (ma mai saziare) i miei vuoti.
Cosa fare? A chi raccontare i miei passi e le mie soste? A chi mostrare le mie fragilità? Chi mai avrebbe potuto comprendere cosa stessi vivendo? Avrebbe davvero avuto senso la terapia o mi stavo solo illudendo?
Tra tanti dubbi, nell’attesa di una notte stellata capace di illuminarmi, la strada ha scelto me.
L’incontro con il Centro Flegreo prima e con la dott.ssa Manco poi, sono stati la provvidenza di cui avevo maledettamente bisogno.
Il tempo trascorso in terapia, vissuto tra racconti sovraffollati di sogni e rinunce, lacrime profumanti ferite che si stavano rimarginando, sguardi penetranti e consigli sussurrati che hanno permesso al silenzio interno di riorientare quello esterno, il tempo trascorso in terapia, dicevo, non è stato sempre facile. Anzi. L’entusiasmo, l’audacia e i primi risultati iniziali hanno lasciato, a metà strada, il passo alla stanchezza, alla precarietà, al dubbio.
E al confronto con quel me stesso ancora troppo rimuginante e incatenato a pianeti spenti e divoranti.

Come un calzino rivoltato, così era il mio animo.

Eppure, poco alla volta, nonostante mi apparisse come un’alta montagna da scalare, questa strada così lunga ma stabile, quegli incontri così profondi e rivoluzionari, quell’oasi così fresca e dissetante − a poco a poco − mi si sono svelati come il più potente dei feticci: lo specchio. Ad ogni sosta, più vi sorridevo dentro, più mi ritornava coraggio; più mostravo il fianco, più esso rifletteva le sagome delle mie capacità e talenti. Perché sì, bisogna sempre ricordarlo: non siamo fatti solo d’acqua e ansia; le risorse nascoste sono molto più numerose e vivificanti di quanto si possa immaginare.
Solo oggi, sebbene non sia ancora finita, posso assaporare la più grande e, al tempo stesso, ovvia delle scoperte: se lo specchio ha l’intrinseca qualità di mostrare cosa e come siamo, per come siamo, nel momento in cui siamo, allora il valore che attribuiamo a quell’immagine riflessa è frutto solo di una nostra scelta e del grado di libertà che abita il nostro intimo.

Oggi, in quel pezzo di vetro incorniciato, vedo un me più libero, più uomo, più felice.

I legami familiari, il debito con il passato e il credito col futuro, il lavoro, i successi, le relazioni, le infinite storie vissute, gli amori, le avventure, le cadute, i momenti di stasi, le situazioni più disparate: tutto è racchiuso in me, tutto vi fa parte. Nulla ho tralasciato e nulla ha tralasciato me. Affamato com’ero di vita, ho declinato l’essere solo quel pellegrino timoroso per divenire me stesso, senza più badare a stereotipi od etichette.
D’altronde, non avevo molta altra scelta se non l’inseguire la verità di me stesso con tutto ciò che ero. Ho percorso, è il caso di dirlo, una strada al contrario: dapprima ho sperimentato il mondo nelle sue mille sfaccettature, poi l’ho riconosciuto nelle pieghe dei miei racconti, delle mie illusioni, delle mie lacrime e dei silenzi.
Storia strana, certo, ma pur sempre una storia unica.
Ad oggi, tutti i passi compiuti, i segni sul mio viso, le mani sempre aperte, le spalle che sono diventate sempre più larghe e forti, gli infiniti sorrisi e i molteplici moniti a superare gli ostacoli dicono qualcosa su chi sono e su come sono arrivato fin qui.
E lo specchio non rimanda, giudice paziente e leale, non riflette più un me sconosciuto ma, è il caso di dirlo, un me amico.
Ad oggi posso felicemente dire che, se i problemi non finiscono mai, non finiscono mai neanche le soluzioni, né le risorse che albergano in noi. E quando anche la notte sembrerà profonda e la meta ancora lontana, quando anche la solitudine e il dolore sembreranno schiacciarci, vi sarà sempre una scintilla capace di riscattarci e risollevarci. Perché, in fondo, siamo tutti un po’ come don Chisciotte: erranti, maldestri e un po’ sbilenchi sui nostri ronzini, alle prese coi mulini giganti della nostra mente, ma non per questo meno vittoriosi, prodi o privi di compagni di viaggio capaci di ricondurci a noi stessi. Ogni frammento di questa storia acquisisce più valore, infine, se c’è qualcuno a cui raccontarsi, con cui condividersi, a cui esprimere il proprio sentito ringraziamento. Io, nel mio piccolo, ho la fortuna di poter dire un grazie sincero al Centro Flegreo e alla mia dott.ssa Manco, che ha pazientemente camminato al mio fianco tra le mie stelle, i miei deserti, il mio quotidiano, ricordandomi che cadute e cicatrici non sono mai la fine ma solo punti da cui ripartire. Perdersi nel proprio labirinto interiore è quanto di più umano possa accadere; è solo il decidere di uscirvi per vedere cosa c’è al di fuori che ci rende davvero liberi. Se il dubbio o la paura vi impediscono di fare il primo passo, vi basti la certezza che guarire si può, e che avere nuovi occhi sazia molto di più che avere un nuovo paesaggio da osservare.
Ma la mia alba si appresta, i piedi scalpitano, la strada è dritta e non posso più indugiare. Proprio come i pellegrini della storia, è giunto nuovamente il tempo di scrutare l’orizzonte e rimettersi in cammino, stavolta con sentimenti liberanti e un cuore pronto ad accogliere la bellezza dell’inaspettato.
Savio